Ho scelto di dedicarmi alla mediazione senza alcuna incertezza nel momento in cui ho scoperto, circa vent’anni fa, che il nostro modo di gestire i conflitti era decisamente imperfetto.
Il processo per me era del tutto insoddisfacente e la penso ancora così.
Ho lasciato quindi l’avvocatura “litigante”, anche se l’avvocato è un po’ come il sacerdote, quando lo sei lo rimani anche se ti evolvi in qualche cosa d’altro.
Ed infatti, ho studiato per tutto questo tempo i sistemi comparati e tutte le norme che mi capitavano a tiro ma con un altro spirito, solo per trovare un nuovo modo più convincente per affrontare le dinamiche relazionali.
L’ho trovato nella mediazione familiare, nella mediazione civile e commerciale e nel counseling.
A questi istituti l’Europa ha dedicato almeno 400 provvedimenti, ma la natura degli istituti rimane comunque altro, molto altro.
Parallelamente a questa continua ricerca delle radici, il conflitto altrui è divenuto col tempo la mia casa e mi ha plasmato: mi ha reso capace di ascoltare (cosa che da avvocato non avevo imparato) e di capire che ogni persona è a ragione un mondo a sé.
Ho imparato ad essere compassionevole, fondando questo stato d’animo non sul sentimentalismo, ma sulla conoscenza dell’uomo (che resta un mistero, ma è affascinante da esplorare).
Ho compreso che una regola importante della vita è l’impermanenza: non puoi bagnarti due volte nello stesso fiume e dunque ti devi sempre mettere in gioco nel “qui ed ora”.
Ho scoperto che l’interdipendenza è forse l’unico modo per conoscere un poco di più la realtà (per quanto possibile): per sapere chi sono io devo sapere che cosa tu pensi di me e per conoscerti devo accettare con curiosità e passione che tu sia diverso da me, che possieda criteri di giudizio spesso opposti ai miei, differenti valori e comunque una nuova visione della vita.
E che tutto ciò è ricchezza.